Ero molto stanca e mi sdraiai sul divano della cucina. Fuori pioveva a dirotto. Una pioggia estiva, ma sembrava una vera tempesta.
La pioggia sbatteva incessante sulla finestra, scivolando sul davanzale. Il suono dei tuoni era molto forte, ma riuscii ugualmente a addormentarmi.
Ad un tratto fui svegliata di soprassalto dal suono del campanello.Mi alzai e chiesi “Chi è?”.
Una voce sensuale mi rispose: ”Sono io, Thomas, ti ricordi di me?
Aprii la porta e vidi un uomo terribilmente attraente, alto, con grandi occhi verdi, un sorriso smagliante e una bocca che invitava a baciarlo. Era Thomas, un amore perso tanti anni prima per via della mia stupidità.
“Entra” gli dissi, “sei tutto bagnato”. Lui entrò, ma all’improvviso ci fu un lampo che fece andare via la corrente. Andai nel salone, aprii il primo cassetto della parete attrezzata e presi una candela. L’accesi e mi recai in cucina, dove Thomas mi attendeva seduto sul divano.
Oddio quanto era bello! Avrei voluto stringerlo a me e dirgli “Ti amo ancora”, ed invece…
“Come mai questa visita?”, gli chiesi con voce tremante dall’emozione di averlo ancora accanto a me.
“In questi anni non ho fatto altro che pensarti, ogni giorno, ogni momento della mia vita, nei miei pensieri c’eri sempre tu “, mi disse guardandomi appassionatamente negli occhi.
Cercai di cambiare discorso, riesumando il mio orgoglio.
“Vuoi qualcosa da bere?”, dissi aprendo il frigorifero.
“No, grazie. Vorrei solo sapere perché cinque anni fa mi lasciasti solo in quel bar. Abbandonato come un cane, senza farmi neppure sapere il motivo. Rimasi lì ad aspettare per ore intere, te, “la donna della mia vita”.
Il suo sguardo cambiò, era irritato, ma lasciava trasparire che era ancora innamorato.
“Ero delusa di te”.
“Perché?”, mi disse sorpreso.
“Delusa perché avevo saputo la verità”.
“La verità? Ma di cosa stai parlando!” disse alzando il tono di voce.
“Non posso credere che ancora oggi, dopo cinque anni, non sai il motivo che mi spinse a mancare al nostro appuntamento”.
“No, non lo so ancora”
La pioggia si fece insistente, guardai fuori dalla finestra, ma la fitta pioggia offuscava la vista del solito panorama. Le gocce d’acqua battevano e poi scivolavano sulla finestra, ed io con il dito le seguivo fino a, quando morivano sul davanzale. Pensavo che solo per un banale e futile motivo, avessi perso l’uomo della mia vita. L’uomo che amavo più di me stessa, che non mi fece mancare mai nulla. Improvvisamente decisi di dirglielo.
“Quella sera non mi presentai all’appuntamento perché venni a sapere che eri già stato sposato. Perché me lo avevi tenuto nascosto?”.
Thomas sorpreso si alzò dal divano e si avvicinò verso di me. All’improvviso un lampo gli illuminò il viso. Un viso marcato dagli anni ma ancora piacente. Notai che i suoi occhi erano tristi ma sinceri. Mi prese la mano e la strinse al suo petto caldo e possente, e mi disse: ”Ti amavo così tanto che non volevo ferirti, e in più temevo che fuggissi via da me, ma la mia menzogna ti ha fatto fuggire ugualmente. Sono stato sposato solo per due anni, ma il mio matrimonio finì proprio per le menzogne di mia moglie, ed io ho fatto lo stesso suo errore. Potrai perdonarmi?”.
Lo guardai, volevo dirgli tante cose, ma non ci riuscii, perché lui mi afferrò per i fianchi e baciandomi appassionatamente mi strinse così forte da togliermi il fiato. Mi lasciai andare e mentre le sue mani mi accarezzavano i seni sentii la sua virilità. Mi baciò nuovamente, ma all’improvviso un forte tuono mi fece sobbalzare, e aprii gli occhi. Mi vidi sdraiata sul divano, mentre la pioggia batteva ancora incessante sui vetri. Guardandomi attorno, mi vidi sola, la cucina era vuota, e inondata da un meraviglioso odore di pioggia estiva. Mi alzai, mi affacciai alla finestra per guardare il panorama, ma non lo vidi perché era offuscato dalla pioggia. Andai nel salone, accesi la luce, ma non c’era la corrente. Aprii la porta d’ingresso, ma non c’era nessuno .Capii. Fu solo un sogno.
Presi il telefono e composi il numero.
“Pronto?”rispose una voce sensuale.
“Ciao Thomas, sono Susy, puoi perdonarmi?”
Dopo un attimo di silenzio con voce sorpresa rispose:
“Da tempo aspettavo questa telefonata e finalmente è arrivata. Non m’importa perché mi hai chiamato, l’importante è che mi ami ancora perché io ti amo. Certo che ti perdono. Anzi, forse sei tu che dovresti perdonare me”, Thomas sospirò e restò in silenzio per qualche secondo. Gli dissi che dovevo vederlo per confessargli un peso che da anni portavo nel cuore.
Fissammo appuntamento quella stessa sera, allo stesso bar di cinque anni prima, con l’impegno di essere puntuali.
Quella sera mi vestii con molta cura e indossai un bel completo color verde smeraldo, sapendo che era il colore preferito di Thomas. Mi truccai, mi alzai i capelli, fermandoli con un bel fermaglio e calzai le mie scarpe preferite. Quelle nere con il tacco alto. Presi le chiavi dell’auto, la borsa e uscii da casa con il cuore trepidante.
Continuava a piovere a dirotto e la nebbia era sempre più fitta. Accesi le luci antinebbia e cercai di percorrere le strade meno affollate, perché non avevo nessuna intenzione di fare attendere Thomas neanche un minuto.
Mentre guidavo, il mio pensiero vagava tra le parole che avrei scelto per confessargli il grande segreto che da cinque anni mi portavo dentro.
Imboccai una strada secondaria che conduceva alle spalle del bar. Ero quasi arrivata, il cuore mi batteva all’impazzata, la gola era secca e tremavo per l’emozione di rivedere Thomas.
Thomas era già al bar ad attendermi, mentre sorseggiava un aperitivo analcolico guardava continuamente l’orologio e sognava il nostro imminente incontro non stava più nella pelle.
All’improvviso la sirena di un’autoambulanza impazzava nell’aria. Thomas posò il bicchiere sul tavolo e usci dal bar. Un grave incidente era avvenuto in prossimità del bar. Dentro quell’ambulanza c’ero io.
All’incrocio un’auto mi aveva tagliato la strada, ed io non riuscii a frenare in tempo, forse perché distratta al pensiero di rivedere Thomas.
Mi portarono all’ospedale più vicino e fui subito operata per una grave emorragia celebrale.
Thomas arrivò all’ospedale, pochi minuti dopo, preoccupato e sconvolto, chiese ai medici le mie condizioni.
Gli fu detto che dovevano passare almeno ventiquattro ore prima di poter sciogliere la prognosi. Mi portarono in sala rianimazione, ma a Thomas non fu consentito entrare. Recandosi in sala d’attesa vide seduti una donna anziana, con gli occhi gonfi di pianto, un viso stanco e folti capelli bianchi raccolti in un tupè, questa teneva seduto sulle sue ginocchia un bimbo di circa quattro anni, con un viso d’angelo.
Thomas si sedette di fronte a loro.
Il bimbo lo guardò e gli sorrise.
“Ciao bel bimbo, come ti chiami?”, gli chiese Thomas.
“Mi chiamo Cristian”, rispose il bimbo intimidito.
“Io mi chiamo Thomas, piacere”, e allungò il braccio con la mano tesa verso Cristian, ma lui si girò nascondendo il viso d’angelo nel petto della donna, che era sua nonna.
La donna, molto prostrata, lo strinse a se giustificandolo per la sua timidezza.
“Sai, anch’io da piccolo ero timidissimo come te? Non volevo andare neanche all’asilo e piangevo sempre perché volevo stare con la mia mamma. I miei compagni mi prendevano sempre in giro, fino a, quando un giorno decisi di non piangere più.”. disse Thomas cercando di attirare l’attenzione del bimbo.
Cristian aprendosi in un gran sorriso gli rispose: “ Anch’io non voglio andare all’asilo, ma la mamma mi ci porta sempre”.
“La tua mamma fa il suo dovere. Devi andare all’asilo, giocare con i compagnetti e imparare a scrivere e leggere. Perché solo così diventerai un uomo in gamba e intelligente” gli risponde Thomas mentre si avvicinava per sedersi vicino a lui.
“Come il mio papà?” gli domandò Cristian.
“Certo come il tuo papà” gli rispose Thomas.
“ Ma tu lo conosci il mio papà?”
“No, ma penso che, per avere un figlio come te, sarà indubbiamente in gamba , intelligente ed anche buono.
“Io non lo conosco il mio papà, perché è partito per un lungo viaggio di lavoro, me lo dice sempre la mamma. Mi racconta anche che…”
“Cristian, ora basta!” lo rimprovera la nonna. A Thomas l’argomento iniziava a raccapricciarlo, ma capì che imbarazzava l’anziana signora che alzandosi bruscamente si era avviata verso la finestra, dalla quale rimase affacciata affinché l’argomento non la coinvolgesse.
Dopo pochi minuti, arrivò un dottore che gli comunicò che ero fuori pericolo. L’anziana signora, dalla gioia, prese Cristian in braccio lo baciò e gli disse: “ amore, la mamma sta meglio, non preoccuparti, presto la rivedrai”.
“La mamma?ma …ma allora è il figlio di Susy!” pensò Thomas confuso e perplesso. “Non può essere che Susy si sia sposata! Divorziata?Lasciata?”Thomas non sapeva più cosa pensare, iniziò a guardare più attentamente il bambino ed ad ipotizzare che, forse, fosse figlio suo, ma i suoi pensieri furono distolti dall’arrivo di un infermiere che li invitò ad andare a casa e non tornare prima del mattino seguente per essere aggiornati sul decorso del mio miglioramento.
Thomas confuso più che mai, prima di congedarsi, si presentò all’anziana signora come un “caro amico” della figlia e lasciandole indirizzo e numero telefonico, si rese disponibile per qualunque eventualità. La donna strabiliata, dapprima rimase ammutolita, ma dopo aver preso fiato lo salutò freddamente rifiutando l’aiuto offertole.
Thomas s’incamminò verso casa come un cane bastonato. L’idea che quel bambino sarebbe potuto essere suo figlio lo emozionava lo turbava e lo confondeva.
“E se fosse questo il motivo della telefonata di Susy? E perché dopo cinque anni?
Thomas decise di andare a dormire, ma non riusciva a prendere sonno perché milioni di domande gli logoravano il cervello, e il ricordo dello sguardo candido del piccolo Cristian gli suscitava un sentimento mai provato prima.
“ In effetti, mi assomigliava, aveva anche il mio stesso colore degli occhi”, pensava, mentre le ore della notte passavano velocemente, lui pensava, ipotizzava e ripensava fino a che nelle prime ore dell’alba la stanchezza lo sopraggiunse e si addormentò.
Lo squillo della sveglia lo svegliò di soprassalto e Thomas si alzò all'istante. Si lavò, si vestì e andò subito in ospedale.
In sala d’attesa c’era già Cristian con la nonna. La signora lo salutò con fare compito mentre Cristian gli andò incontro e lo abbracciò come se si conoscessero da sempre.
“Thomas, lo sai che ora andiamo a vedere la mamma? I dottori hanno detto che si è svegliata. Vieni anche tu?” disse il piccolo Cristian.
“ Certo amore che vengo con voi” rispose Thomas rincuorato dalla notizia.
Ero sveglia, ma stordita dall’effetto dei farmaci. Appena vidi entrare mio figlio insieme a Thomas il cuore iniziò a battermi all’impazzata. Non sapevo cosa dire, ma la prima cosa che feci fu quella di abbracciare con la mia poca forza Cristian, sbaciucchiandolo gli che la sua mamma ora stava bene, e che non lo avrebbe lasciato mai più.
Salutai anche mia madre che con le lacrime agli occhi mi baciò e mi abbracciò così forte che inconsapevolmente stava per stritolarmi.
Thomas, restò fermo davanti alla porta guardandomi senza dire neanche una parola. Fui io a rompere il ghiaccio.
“Ciao Thomas, non volevo rivederti in queste condizioni”, gli dissi guardandolo fisso negli occhi.
“L’importante che il peggio sia passato e che ora sei qui con noi” rispose e avvicinandosi mi prese una mano e la chiuse fra le sue come a custodirla.
Intuivo che avrebbe voluto farmi mille domande sull’esistenza di Cristian, ma non lo fece, e nonostante le circostanze presi io l’iniziativa.
“Cristian lo conosci Thomas?” chiesi a mio figlio.
“Sì, mamma ci siamo conosciuti ieri, in quella stanza dove si aspettano i dottori” rispose Cristina allegramente.
“ Si chiama, sala d’attesa, amore mio”gli risposi sorridendo.
“Hai un figlio meraviglioso”, mi disse Thomas.
Appena mia madre uscì dalla stanza per andare a parlare con i medici io capii che era il momento di confessare a Thomas tutta la verità, tenuta nascosta per cinque anni.
“Thomas, siediti ti devo parlare. Lo so che non è né il momento opportuno né il giusto luogo, ma non riesco più a tenermi questo peso che mi tortura da anni.”. Feci un profondo respiro e fissando le sue mani che racchiudevano la mia iniziai a parlare:
“ Quando cinque anni fa seppi che mi avevi tenuto nascosto che eri stato sposato, il mio orgoglio prese il sopravvento e invece di chiarire sono scappata come una bambina. Dopo fui tentata di chiamarti più volte, ma quando seppi che ero incinta ebbi paura che tu non avresti gradito la notizia. Andai a vivere da mia madre, che mi aiutò a crescere il mio adorato bambino, senza chiedermi mai delle spiegazioni. ” Non riuscendo più a trattenere le lacrime cercai il suo sguardo.
“Ma, allora, Cristian è…”
“Sì, Cristian è tuo figlio” con fatica ritrassi la mia mano dalle sue per accarezzare la testolina di Cristian che si era appoggiato sul mio petto e alzandogli il mento per guardarlo negli occhi gli dissi: “Amore tuo padre è tornato dal suo lungo viaggio di lavoro”.
“E dov’è?” chiese felicemente mio figlio.
“Tuo padre è qui. Thomas è tuo padre” dissi continuando a piangere.
I due si guardarono intensamente, erano confusi ma felici. Thomas si chinò su Cristian lo baciò e tirandolo su dal mio petto lo strinse fortemente ed iniziò a sbaciucchiarlo dappertutto. Poi smise di baciarlo lo alzò in alto in alto con le sue braccia possenti e guardandolo negli occhi gli disse: “Amore mio, tuo padre non se ne andrà mai più via. Ti prometto che resterò sempre con te”.
Poi guardò me e disse: “ ti amo, ti ho sempre amata e non ho mai smesso, neanche in questi ultimi lunghi cinque anni di tuo silenzio. Le mie preghiere per riaverti non sono state vane, e per di più hai serbato per me un dono meraviglioso, mio figlio” con Cristian ancora stretto tra le braccia si avvicinò e mi baciò teneramente sulla fronte. Allargò le sue braccia e avvicinandosi ci strinse fortemente.
Cristian divincolandosi dalla stretta del padre iniziò a saltellare per la stanza, e con voce gioiosa disse: “Papà, quando la mamma starà meglio, mi prometti che andremo al parco a giocare a pallone?
“Certo amore, quando mamma starà bene, faremo tutto quello che vorrai tu, se la mamma sarà d‘accordo”, mi guardò e mi baciò appassionatamente sulle labbra.
In quei minuti mi sentii in paradiso, e gli applausi di Cristian accompagnati dalle sue risa gioiose mi sembravano cori d’angeli.
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